domenica 28 ottobre 2007

Omelia Pronunciata dal Prefetto della Congregazione per le Cause dei Santi.

CITTA’ DEL VATICANO, domenica, 28 ottobre 2007
(Zenit.org) Riportiamo l’omelia pronunciata questa domenica in piazza San Pietro in Vaticano dal Cardinale portoghese José Saraiva Martins, Prefetto della Congregazione per le Cause dei Santi, durante la cerimonia di beatificazione di 498 martiri del XX secolo in Spagna.

* * *



Eminentissimi Signori Cardinali,
Eccellentissimi Signori Vescovi e fratelli nel sacerdozio, Rispettabili autorità,
Sorelle e fratelli in Cristo:

1. Su mandato del Papa Benedetto XVI ho avuto il gradito compito di rendere pubblico il documento mediante il quale il Santo Padre proclama beati quattrocentonovantotto martiri che hanno effuso il loro sangue per la fede, durante la persecuzione religiosa in Spagna negli anni millenovecentotrentaquattro, trentasei e trentasette. Fra loro ci sono vescovi, sacerdoti, religiosi, religiose e fedeli laici, donne e uomini; tre di loro avevano sedici anni e il maggiore settantotto.

Questo gruppo così numeroso di beati ha manifestato fino al martirio il suo amore a Gesù Cristo, la sua fedeltà alla Chiesa Cattolica e la sua intercessione presso Dio per tutto il mondo. Prima di morire perdonarono a coloro che li perseguitarono - addirittura pregarono per loro -, come si evince dai processi di beatificazione istruiti nelle arcidiocesi di Barcellona, Burgos, Madrid, Mérida-Badajoz, Oviedo, Siviglia e Toledo; e nelle diocesi di Albacete, Ciudad Real, Cuenca, Gerona, Jaén, Malaga e Santander.

Come afferma il Catechismo della Chiesa Cattolica: " ...il martirio è la suprema testimonianza resa alla verità della fede " ( a2473). Seguire Gesù, infatti, significa seguirlo anche nel dolore e accettare le persecuzioni per amore del Vangelo (cf. Mt.24,9-14; Mc.13,9-13; Lc 21,12-19): "sarete odiati da tutti a causa del mio Nome" (Mc.13,13; cf.Gv.15,21). Cristo ci ha anticipato che il nostro compito è legato al suo destino.

2. Il logo di questa beatificazione che ha un rilievo storico, per il numero davvero ingente dei beati, ha come elemento centrale una croce di colore rosso, simbolo dell'amore spinto fino allo spargimento di sangue per Cristo. Accanto alla croce c'è una palma stilizzata che, intenzionalmente, assomiglia a delle lingue di fuoco nelle quali è possibile vedere rappresentata la vittoria conseguita dai martiri che, con la loro fede, hanno vinto il mondo (cfr. 1 Gv 1,4); esse raffigurano anche il fuoco dello Spirito Santo che scese sugli Apostoli il giorno di Pentecoste, e così pure il rovo che arde e non si consuma (cfr. Es 3,1- 6), attraverso cui Dio si manifestò a Mosè nel brano dell'Esodo, come espressione del suo stesso Essere: è l'Amore che si dona e non si estingue mai.

Questi simboli si trovano incorniciati da una dicitura circolare, che ricorda la mappa del mondo; in essa si legge: "Beatificazione martiri di Spagna". La scritta dice «martiri di Spagna» e non «martiri spagnoli», perché la Spagna è il luogo dove furono martirizzati, inoltre è la Patria della maggior parte di loro, anche se, in verità, alcuni provengono da altri stati, come la Francia, il Messico e Cuba. In ogni caso, i martiri non sono patrimonio esclusivo di una diocesi o di una nazione, ma al contrario, per la loro speciale partecipazione alla Croce di Cristo, Redentore dell'universo, appartengono al mondo intero, alla Chiesa universale.

È stato scelto come lemma per questa beatificazione il brano del Vangelo di San Matteo: «Voi siete la luce del mondo» (Mt 5, 14). Come afferma il Concilio Vaticano II all'inizio della sua Costituzione dogmatica sulla Chiesa, Cristo è la luce delle genti [1]; questa luce nel corso dei secoli si riflette sul volto della Chiesa e oggi, in modo particolare, risplende nei martiri la cui memoria stiamo celebrando. Gesù Cristo è la luce del mondo (Gv l, 5-9), che illumina le nostre intelligenze affinché, conoscendo la verità, viviamo secondo la dignità umana, quella dei figli di Dio. Così anche noi, trasformati in luce del mondo, illuminiamo tutti gli uomini con la testimonianza di una vita vissuta in piena coerenza con la fede che professiamo.

3. «Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la mia corsa, ho conservato la fede» (2 Tim 4, 7). Così scrive San Paolo, alla fine della sua vita, nel testo della seconda lettura di questa domenica. Questi martiri, con la loro morte, concretarono le convinzioni di San Paolo.

I martiri non hanno raggiunto la gloria solamente per loro stessi. Il loro sangue, che impregnò la terra, fu sorgente di fecondità e abbondanza di frutti. Così lo manifestava, invitandoci a conservare la memoria dei martiri, Sua Santità Giovanni Paolo II in uno dei suoi discorsi affermava: «Se si perdesse la memoria dei cristiani che hanno sacrificato la vita per affermare la loro fede, il tempo presente, con i suoi progetti ed i suoi ideali, perderebbe una componente preziosa, poiché i grandi valori umani e religiosi non sarebbero più confortati da una testimonianza concreta, inserita nella storia» [2].

Non possiamo accontentarci solamente di celebrare la memoria dei martiri, ammirare il loro esempio e andare avanti nella nostra vita stancamente. Qual è il messaggio che trasmettono i martiri a ciascuno di noi qui presenti?

Viviamo in un'epoca in cui i cristiani sono minacciati nella loro vera identità: e questo vuol dire che essi o sono 'martiri', cioè aderiscono alla fede battesimale in modo coerente, o si adeguano. La vita cristiana è confessione personale quotidiana della fede nel Figlio di Dio fatto uomo, che può richiedere anche il sangue. La fede pagata con la vita anche da uno soltanto, ha l'effetto di rinsaldare quella di tutta la Chiesa. Allora proporre l'esempio dei martiri significa ricordare che la santità non consiste nella riaffermazione di valori comuni a tutti, ma nella personale adesione a Cristo salvatore del cosmo e della storia. Il martirio è paradigma di questa verità sin dalla Pentecoste.

La confessione personale della fede ci fa compiere un altro passo: ci permette di scoprire un legame forte tra la coscienza e il martirio.

"Il senso più profondo della testimonianza di tutti i martiri - secondo quanto scriveva il Cardinale Ratzinger - sta nel fatto che essi attestano la capacità di verità dell'uomo quale limite di ogni potere e garanzia della sua somiglianza divina. E' proprio in questo senso che i martiri sono i grandi testimoni della coscienza, della capacità concessa all'uomo di percepire, oltre al potere, anche il dovere e quindi di aprire la via al vero progresso, alla vera ascesa" (J. Ratzinger, Elogio della coscienza, Roma, Il Sabato 16 marzo 1991, p.89).

4. I martiri che oggi vengono iscritti all'albo dei beati si comportarono come buoni cristiani e, arrivato il momento, non ebbero dubbi nell'offrire la propria vita al grido di «Viva Cristo Re!». Agli uomini e alle donne di oggi dicono a voce alta che tutti siamo chiamati alla santità, tutti, senza eccezione, come ha dichiarato solennemente il Concilio Vaticano II, nel suo documento più importante, la Costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen gentium, nel capitolo V dal titolo «Chiamata universale alla santità» [3]. Dio ci ha creato e redento per essere santi! Non possiamo accontentarci di un cristianesimo vissuto tiepidamente.

La vita cristiana non si può ridurre semplicemente ad alcuni individuali ed isolati atti di pietà, ma piuttosto essa deve coinvolgere ogni attimo dei nostri giorni su questa terra. Gesù Cristo deve essere presente nell'adempimento fedele dei nostri doveri di vita ordinaria, intessuti di particolari apparentemente piccoli e senza rilevanza, ma che acquistano rilievo e grandezza soprannaturale quando sono fatti per amore di Dio. I martiri raggiunsero la vetta della eroicità attraverso la battaglia con cui diedero la vita per Cristo. L'eroicità alla quale Dio ci chiama va intravista nei molteplici contrasti della nostra vita quotidiana. Dobbiamo essere persuasi che la nostra santità - cioè quella santità a cui Dio ci chiama, senza dubbio - consiste nel raggiungere quello che Giovanni Paolo II ha definito il «livello alto della vita cristiana ordinaria» [4].

Il messaggio dei martiri è un messaggio di fede e amore. Dobbiamo sottoporci ad un coraggioso esame di coscienza, e fare propositi, affinché questa fede e questo amore si manifestino eroicamente nella nostra vita.

Eroicità della fede e dell'amore nel nostro agire da persone inserite nella storia, come il lievito che dà il giusto fermento.

La fede, ci dice Benedetto XVI, contribuisce a purificare la ragione, perché aiuta a percepire la verità [5]. Perciò, essere cristiani coerenti ci impone di non inibirci di fronte al dovere, di dare il nostro contributo al bene comune e di modellare la società sempre secondo giustizia, difendendo - in un dialogo forgiato dalla carità - le nostre convinzioni sulla dignità della persona, sulla vita, dal concepimento fino alla morte naturale, sulla famiglia fondata sull'unione matrimoniale unica ed indissolubile tra un uomo e una donna, sul diritto e dovere primario dei genitori all'educazione dei figli e sulle altre questioni che nascono dall'esperienza quotidiana della società in cui viviamo.

Concludiamo, uniti al Santo Padre Benedetto XVI e alla Chiesa universale, che si estende nei cinque Continenti, invocando l'intercessione dei martiri oggi beatificati e rivolgendoci con fiducia alla Madonna, Regina dei martiri, affinché, infiammati da un vivo desiderio di santità, ne seguiamo l'esempio.


[1] CONC. VA T. II, Costituzione dogmatica sulla Chiesa, Lumen gentium, 21 nov. 1964, n. l.
[2] GIOVANNI PAOLO II, Messaggio alla VIII Sessione Pubblica delle Accademie Pontificie, 2003, n. 6.
[3] CONC. V AT. II, Costituzione dogmatica sulla Chiesa, Lumen gentium, 21 nov. 1964, Capitolo V.
[4] GIOVANNI PAOLO II, Lettera apostolica Novo Millennio ineunte, 6 genn. 2001, n. 31.
[5] BENEDICTO XVI, Lettera enciclica Deus caritas est, 25 dico 2005, nn. 28-29.

venerdì 26 ottobre 2007

La Chiesa e "Repubblica": La difesa d'uficio di "Avvenire".

Speciale Soldi alla Chiesa, verità e bugie
Spargere veleni sul rapporto tra Chiesa e società. Con argomentazioni sbrigative e grossolane che cercano di mettere in cattiva luce l'impegno dei sacerdoti, l'uso dell'otto per mille, perfino l'insegnamento della religione cattolica. Il quotidiano romano «Repubblica», dai primi di ottobre a oggi, ha cercato con un'inchiesta sviluppata su varie puntate (e da ultimo - per ora - con l'intervento del suo direttore, Ezio Mauro) di screditare la Chiesa. Innumerevoli gli svarioni, le cantonate, le imprecisioni. Qui di seguito trovate una raccolta degli articoli con cui «Avvenire» ha risposto a questi attacchi. Cercando di ragionare sulla realtà dei fatti. p
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Dopo il fondo di «Repubblica» (26 ottobre 2007)
Democrazia, soprattutto

Il direttore di Repubblica, collega che stimo, non è piaciuto l’intervento del segretario di Stato vaticano. «Finiamola», aveva esortato il cardinal Tarcisio Bertone. «Come si permette di darci ordini?» ...

di Dino Boffo

Scuola e bugie (25 ottobre 2007)
Ora di religione, attacco fuori bersaglio

L’insegnamento della religione cattolica (Irc) non serve a nulla, se non a rimpinguare la Chiesa, «un altro miliardo di obolo di Stato a san Pietro». A questa tesi sbrigativa e grossolana va piegata la ...

di Umberto Folena

Otto per mille (13 ottobre 2007)
Chiesa & Ici: la saga delle cantonate

Con un titolo rutilante, "Gli alberghi dei santi alla crociata dell'Ici", e il fiato sempre più corto, Repubblica - il giornale di Carlo De Benedetti - dedicava ieri altre due pagine alla novela (inchiesta ...

di Umberto Folena

La lettera (06 ottobre 2007)
Quell’inchiesta di «Repubblica» una caricatura indegna

Caro Direttore, ho appena terminato di leggere il 'supplemento' di inchiesta sull’8 per mille alla Chiesa cattolica italiana pubblicato su Repubblica di mercoledì 3 ottobre a firma di Curzio Maltese e ...

Don Felice Bacco, Canosa di Puglia

Chiesa e tasse (04 ottobre 2007)
Otto per mille i «segreti» e la trasparenza

Disinformazia, parte seconda. Ieri su Repubblica la triade Maltese -Pontesilli-Turco ha rifilato ai suoi lettori 'I soldi del vescovo- 2', una seconda dose di totali menzogne e mezze verità a proposito ...

di Umberto Folena

Intervista al professore Carlo Cardia (04 ottobre 2007)
«Sembrano metodi da piccoli Torquemada»

Repubblica l’ha accusato di aver cambiato casacca e idee sui finanziamenti alla Chiesa e sul comunismo e ha contestato la sua partecipazione alla commissione governativa per l’esame dell’otto per mille. ...

di Paolo Viana

Bilanci trasparenti (29 settembre 2007)
Costi della Chiesa, svarioni e verità

La Chiesa come la politica? Con un notevole sforzo, parecchie omissioni e un pizzico di demagogia, perché no? È l’operazione tentata ieri da Repubblica, ben tre pagine firmate da Curzio Maltese , coadiuvato ...

di Umberto Folena

Lettera al sottosegretario dell'Economia (30 agosto 2007)
Onorevole Cento, un po' di pudore

Mi presento: sono uno di quegli "imprenditori" entrati nel mirino suo, sottosegretario Cento, e di alcuni altri suoi colleghi, comprensibilmente preoccupati di salvare l'Italia dal fallimento economico ...

di don Carlo Velludo*

L'inutile polemica (30 agosto 2007)
Tasse e immobili: la lunga lista dei «privilegiati»

Perché alcuni immobili della Chiesa cattolica sono esenti dal pagamento dell'Ici? E da quando questa agevolazione è riconosciuta? Se chi ha scritto o parlato di «privilegi» concessi alla Chiesa si fosse ...

di Massimo Calvi


giovedì 25 ottobre 2007

Gli alberghi dei santi alla crociata dell'Ici.

La Chiesa non paga l'imposta sui fabbricati appellandosi ad una legge del '92.
Ma la Cassazione la giudica illegittima e l'Ue ha messo l'Italia sotto processo.
Secondo l'Anci in questo modo i Comuni non incassano ogni anno 400 milioni.

(Curzio Maltese - La Repubblica) Una terrazza da sogno sul cuore della Roma barocca, sormontata dal campanile di Santa Brigida, con vista sull'ambasciata francese e perfino sull'attico di Cesare Previti. È soltanto uno dei vanti dell'albergo delle Brigidine in piazza Farnese, "magnifico palazzo del '400" si legge nel depliant dell'hotel, classificato con cinque stelle nei siti turistici, caldamente consigliato nei blog dei visitatori, soprattutto dagli americani, per il buon rapporto qualità-prezzo e l'accoglienza delle suore. "Parlano tutte l'inglese e possono procurare lasciapassare gratis per le udienze del Papa" scrive un'entusiasta ospite da Singapore sul portale Trip Advisor ("leggi le opinioni e confronta i prezzi").

L'unico problema, avvertono, è trovare posto. Sorto intorno alla chiesa di Santa Brigida, quasi sempre vuota, l'albergo è invece sempre pieno. Prenotarsi però non è difficile. Basta inviare una e-mail a www. istitutireligiosi. org, il portale che raccoglie un migliaio di case albergo cattoliche in Italia, con il progetto di pubblicarle tutte nei prossimi mesi e "raggiungere accordi con i grandi tour operator stranieri per il lancio sul mercato internazionale". Oppure si può cliccare direttamente su brigidine. org, il sito ufficiale dell'ordine religioso fondato da Santa Brigida di Svezia, straordinaria figura di mistica e madre di otto figli, fra i quali un'altra santa, Caterina. Una notizia che in realtà dall'home page delle brigidine non si ottiene.

La biografia della fondatrice occupa solo poche righe. In compenso si trovano minuziosi dettagli sulla catena di alberghi ("case religiose") gestiti dalle brigidine in 19 paesi, una specie di Relais & Chateux di gran fascino, per esempio il magnifico chiostro dell'Avana Vecchia, inaugurato da Fidel Castro in persona. Il prezzo di una camera a piazza Farnese è di 120 euro per la singola, 190 per la doppia, compresa colazione, maggiorato del tre per cento se si paga con carta di credito.
La Casa di Santa Brigida, quattromila metri nella zona più cara di Roma, più lo sterminato terrazzo, ha un valore di mercato di circa 60 milioni di euro ma è iscritto al catasto romano nella categoria "convitti". E non paga una lira di Ici. Ogni anno i comuni italiani perdono secondo gli studi dell'Anci ("basati su dati catastali lontani dal valore di mercato reale") oltre 400 milioni di euro a causa di un'esenzione fiscale illegittima e contraria alle norme europee sulla concorrenza. A questa stima vanno aggiunti gli immobili considerati unilateralmente esenti da sempre e mai dichiarati ai comuni, per giungere ad un mancato gettito complessivo valutato vicino al miliardo di euro annuali. Sarebbe più esatto dire che la perdita è per i cittadini italiani, perché poi i comuni i soldi mancanti li prendono dalle solite tasche.

L'Avvenire, organo della Cei, ha scritto che bisogna smetterla di parlare di privilegio poiché esiste una legge di esenzione fin dal 1992. "Un regime che non aveva mai dato problemi fino al 2004" conclude. È vero. Ma ha dimenticato di aggiungere che il "problema" insorto è la correzione della Corte di Cassazione. Un problema non da poco in uno stato di diritto. Al quale si è aggiunto quest' anno un altro problemino, anticipato da "Repubblica", l'inchiesta della commissione europea sull'intero settore dei favori fiscali alla chiesa cattolica italiana, nell'ipotesi di "aiuti di Stato" mascherati. Con gran scandalo di alcune lobby parlamentari che hanno invocato la mano del papa contro Bruxelles.

Piccola storia della controversia. La legge del ' 92 sulle esenzioni dall'Ici è stata giudicata illegittima dalla Cassazione, che nel 2004 l'ha così corretta: sono esenti dall'Ici soltanto gli immobili che "non svolgono anche attività commerciale". La sentenza, come la precedente esenzione, si applicava a tutti i soggetti interessati. Oltre alle proprietà ecclesiastiche, non solo cattoliche, anche alle Onlus, ai sindacati, ai partiti, alle associazioni sportive e così via. Ma l'unica reazione furibonda è arrivata dalla Cei: "Una sentenza folle". Perché? Forse perché è l'unico fra i soggetti interessati a possedere un impero commerciale: alberghi, ristoranti, cinema, teatri, librerie, negozi.

"Il fenomeno ha avuto un'impennata prima del Giubileo" spiegano i tecnici dell'Anci "ma negli ultimi dieci anni l'espansione commerciale degli enti religiosi è impressionante". Una parte della montagna di soldi pubblici (3500 miliardi di lire) stanziati per il Giubileo del 2000, più quote consistenti dell'otto per mille, sono finite in questi anni in ristrutturazioni immobiliari che hanno trasformato conventi, collegi e ostelli in moderne catene alberghiere.

Un po' ovunque, come a piazza Farnese, le chiese si svuotano ma gli hotel religiosi si riempiono. Le ragioni non mancano: sono belli, ben gestiti, concorrenziali nei prezzi e possono far leva su una capillare rete di propaganda. La chiesa cattolica è oggi uno dei più potenti broker nel turismo mondiale, primo settore per crescita dell'economia. Si calcola che gestisca quaranta milioni di presenze all'anno per l'Italia e verso luoghi di culto (Lourdes, Fatima, Czestochowa, Medjugorije...).

In cima alla piramide organizzativa si trova la ORP (Opera Romana Pellegrinaggi), alle dipendenza del Vicariato di Roma e quindi della Santa Sede. L'attività è in larga misura esentasse, Ici a parte. Si capisce che la Cei di Ruini si sia mossa contro la "folle sentenza", "fonte di danni incalcolabili". Fino a ottenere dal governo Berlusconi il colpo di spugna per decreto. Un decreto che rovesciava la Cassazione e ripristinava l'esenzione totale dall'Ici per le proprietà ecclesiastiche, "a prescindere" (alla Totò) da ogni eventuale uso commerciale. E' l'autunno 2005 e Berlusconi anticipa nei fatti alla Cei l'abolizione dell'Ici che sei mesi più tardi, all'ultimo minuto di campagna elettorale, avrebbe soltanto promesso a tutti gli altri italiani. "Fu un'esplosione di gioia - si legge nel sito della Cei - "cin, cin", brindisi, congratulazioni, gratitudine per tutti coloro che si erano adoperati per l'approvazione di tali norme". Passate le elezioni, alla nuova maggioranza si è riproposto il nodo dell'illegittimità della norma, sollecitata dai rilievi della Commissione Europea. E il governo Prodi l'ha risolto nel più ipocrita dei modi. Con un cavillo inserito nei decreti Bersani, vengono esentati dall'Ici gli immobili che abbiano uso "non esclusivamente commerciale". In pratica, secondo l'Anci, significa che "il 90-95 per cento delle proprietà ecclesiastiche continua a non pagare". In termini giuridici il "non esclusivamente commerciale" rappresenta un non senso, una barzelletta sul genere di quella famosa della donna incinta "ma appena un poco". Nel secolare diritto civile e tributario italiano il "non esclusivamente" non era mai apparso, un'attività è commerciale o non commerciale.

Il resto è storia recente. Parte la richiesta di chiarimenti da Bruxelles il governo da un lato risponde che la "norma è chiarissima" e dall'altro istituisce una commissione per studiarne le ambiguità, voluta quasi soltanto dal ministro per l'Economia Tommaso Padoa Schioppa, europeista convinto. La relazione sarà consegnata fra pochi giorni, ma circola qualche riservata anticipazione. Il presidente Francesco Tesauro, dall'alto della sua competenza giuridica, difficilmente potrà avvalorare l'assurdità del "non esclusivamente" e quindi sarà inevitabile cambiare la norma. "Qui nessuno, per intenderci, pretende l'Ici dal bar o dal cinema dell'oratorio" commenta il presidente dell'Anci, il sindaco di Firenze Lorenzo Domenici. "Ma dagli esercizi commerciali aperti al pubblico, in concorrenza con altri, da quelli sì. Abbiamo dato piena autonomia ai singoli comuni per trovare accordi con le curie locali e compilare elenchi attendibili". Ma una leale collaborazione nel separare il grano dal loglio, i templi dai mercati, insomma il culto dal commercio, da parte delle curie non c' è mai stata.

Nel marzo scorso, per far fronte all'espansione del settore, la Cei ha organizzato a Roma un mega convegno intitolato "Case per ferie, segno e luogo di speranza". Gli atti e gli interventi dei relatori, scaricabili dal sito ufficiale della Cei, compongono di fatto un eccellente corso di formazione professionale per operatori turistici, tenuto da esperti del ramo e commercialisti non solo molto preparati ma anche dotati di una capacità divulgativa singolare per la categoria. Una visita al sito è largamente consigliabile a qualsiasi laico titolare di un alberghi, pensioni, bar, ristoranti. Nelle molte e lunghe relazioni, fitte di norme civilistico-fiscali, compare anche l'aspetto spirituale, alla voce swiftiana "Qualche modesto suggerimento per difendervi nel prossimo futuro da accertamenti Ici (anche retroattivi)".

Si ricorda allora che "A) l'ospite deve riconoscere la piena condivisione degli ideali e delle regole di condotta della religione cristiana; B) l'ospite deve impegnarsi a rispettare gli orari di entrata e di uscita; C) la casa per ferie metta a disposizione degli ospiti la propria struttura e personale religioso per un'assistenza religiosa oltre l'annessa cappella" e così via. A parte che a piazza Farnese ci hanno dato subito le chiavi per entrare e uscire quando volevamo, è la Cei stessa a ridurre la vocazione spirituale e dunque "non commerciale" degli alberghi religiosi a un espediente da commercialisti furbi per evitare gli odiati accertamenti. Eppure sono passati duemila anni da quando Gesù rispose ai farisei, il clero dell'epoca, "date a Cesare quel che è di Cesare". Per finire, una precisazione penosa ma necessaria. Da settimane l'informazione cattolica pubblica le tabelle degli stipendi dei preti, bassi come quelli degli operai, per "sbugiardare un'inchiesta fondata sulla menzogna". Ora, i salari dei preti non sono mai stati né saranno oggetto di questa inchiesta. Si può anzi essere d' accordo con gli organi della Cei nel sostenere che i sacerdoti sono una categoria sottopagata rispetto all'impegno profuso nella società.

Per non dire delle suore, alle quali la Cei non versa un euro. Le sorelle brigidine di piazza Farnese, per esempio, si alzano all'alba e lavorano dodici ore al giorno, offrendo agli ospiti una cortesia e una dedizione che non s' imparano alla scuola alberghiera, eppure non avranno mai né uno stipendio né la pensione, a differenza dei preti. Ed è un'altra fonte d' imbarazzo laico dover contribuire con le tasse a un sistema tanto discriminatorio. La questione non sono i 350 milioni per gli stipendi prelevati con l'otto per mille, inventato per questo. Ma gli altri quattro miliardi che vanno altrove, in parte certo alle missioni di carità, in parte più cospicua dentro una macchina di potere che influenza e condiziona l'economia, la politica, la vita democratica e a volte l'esercizio dei diritti costituzionali, fra i quali la libertà di stampa.
(Hanno collaborato Carlo Pontesilli e Maurizio Turco)

Bertone contro le inchieste sulla Chiesa."Finiamola con questa storia dei costi"

Il segretario di Stato vaticano attacca gli articoli di "Repubblica".
"L'apertura alla fede in Dio porta solo frutti a favore della società".

CITTA DEL VATICANO - "Finiamola con questa storia dei finanziamenti alla Chiesa: l'apertura alla fede in Dio porta solo frutti a favore della società". Il segretario di Stato Tarcisio Bertone, replica con durezza all'inchiesta sui costi dell'ora di religione. "C'è un quotidiano - lamenta - che ogni settimana deve tirare fuori iniziative di questo genere.

"L'ora di religione è sacrosanta". La conversazione del segretario di Stato con i giornalisti tocca poi la "deriva anticlericale" in Spagna. E su questo Bertone si mostra più prudente: ci sono i vescovi spagnoli che prendono posizione in merito, io non so se sia davvero una proposta di Zapatero o solo una delle righe di un programma elettorale...". Esterna a tutto campo il cardinale, dopo la conferenza stampa sul Concerto di Ennio Morricone e dell'Arma dei Carbinieri che si terrà in Vaticano il prossimo 20 novembre. "Le difficoltà delle famiglie di arrivare alla fine del mese - risponde a un gionalista - sono reali. Mi auguro che le promesse del Governo vengano matenute. Il problema è quello delle risorse limitate, noi chiediamo che siano impiegate a favore della famiglia, dei figli, della solidarietà". Cita i cartelli di protesta che lo hanno accolto all'ospedale pediatrico promosso dal Vaticano (e gestito in convenzione con il Ssn e la Regione Lazio). I dipendenti lamentano il mancato rispetto del contratto di lavoro che prevedeva uno scatto che non è stato ancora erogato: "è un problema reale, in questo momento siamo in problemi difficili sia dal punto di vista regionale che nazionale. Mancano le risorse: non parliamo degli stipendi vaticani. Potessi avere la bacchetta magica farei subito dei miracoli". Gli domandano allora: "secondo lei la crisi politica sfiorata ieri è superata?". Serafico replica: "vediamo se è superata".

utto questo non basta ai giornalisti che lo hanno seguito al "Bambino Gesù" e così il cardinale è "costretto" a parlare anche dei limiti etici della pubblicità. Non gli è piaciuto lo spot del "neonato gay". In proposito Bertone dice: "è una cosa strana, mi sembra che non sia il caso di arrivare a uno spot di quel genere".

LEGGI LE QUATTRO PUNTATE DELL'INCHIESTA

Religione, il dogma in aula un'ora che vale un miliardo.

L'ultimo dato ufficiale (2001): 650 milioni di stipendi agli insegnanti che nel frattempo sono diventati più di 25mila: di questi 14mila di ruolo.
La Spagna studia la revisione degli accordi con la Chiesa.
In Italia invece non se ne parla neppure.

(Curzio Maltese - La Repubblica) L'ultima ondata di bullismo nelle scuole ha convinto il governo a istituire dal prossimo anno due ore di educazione civica obbligatoria, chiamata Cittadinanza e Diritti Umani, in ogni ordine d' insegnamento, dalle materne ai licei. Durissima la protesta dei vescovi, che hanno parlato di "catechismo socialista" e invitato le associazioni di insegnanti e genitori cattolici a scendere in piazza e avvalersi dell'obiezione di coscienza. Il presidente del consiglio ha risposto in televisione che, nel rispetto totale della maggioranza cattolica del paese, la laicità dello Stato resta un valore fondante della democrazia e l'educazione civica non è né può essere in competizione con l'ora facoltativa di religioni (cattolica come ebraica, islamica o luterana) già prevista nei programmi. Il premier ha aggiunto di voler confermare i tagli ai finanziamenti delle scuole private cattoliche e non, definiti "un ritorno alla legalità costituzionale" rispetto alla politica del precedente governo di destra. A questo punto forse il lettore si sarà domandato: ma dov' ero quando è successo tutto questo? In Italia. Mentre la vicenda naturalmente si è svolta altrove, nella Spagna del governo Zapatero, otto mesi fa. Il braccio di ferro fra stato laico e vescovi è andato avanti e oggi il governo spagnolo studia addirittura una revisione del Concordato del 1979. Una realtà lontana da noi.

Nelle scuole italiane, più devastate dal bullismo di quelle spagnole, l'ora di educazione civica è abolita nelle primarie e quasi inesistente nelle superiori. Lo Stato in compenso si preoccupa di tutelare il più possibile l'ora di religione, al singolare: cattolica. Quanto ai finanziamenti alle scuole private cattoliche, in teoria vietati dall'articolo 33 della Costituzione ("Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato"), l'attuale governo di centrosinistra, con il ministro Fioroni all'Istruzione, è impegnato al momento a battere i record di generosità stabiliti ai tempi di Berlusconi e Letizia Moratti.
L'ora facoltativa di religione costa ai contribuenti italiani circa un miliardo di euro all'anno. E' la seconda voce di finanziamento diretto dello Stato alla confessione cattolica, di pochi milioni inferiore all'otto per mille. Ma rischia di diventare in breve la prima. L'ultimo dato ufficiale del ministero parla di 650 milioni di spesa per gli stipendi agli insegnanti di religione, ma risale al 2001 quando erano 22 mila e tutti precari. Ora sono diventati 25.679, dei quali 14.670 passati di ruolo, grazie a una rapida e un po' farsesca serie di concorsi di massa inaugurati dal governo Berlusconi nel 2004 e proseguita dall'attuale.

Il regalo del posto fisso agli insegnanti di religione è al centro d' infinite diatribe legali. Per almeno due ordini di ragioni. La prima obiezione è di principio. L'ora di religione è un insegnamento facoltativo e come tale non dovrebbe prevedere docenti di ruolo. Per giunta, gli insegnanti di religione sono scelti dai vescovi e non dallo Stato. Ma se la diocesi ritira l'idoneità, come può accadere per mille motivi (per esempio, una separazione), lo Stato deve comunque accollarsi l'ex insegnante di religione fino alla pensione.

L'altra fonte di polemiche è la disparità di trattamento economico fra insegnanti "normali" e di religione. A parità di prestazioni, gli insegnanti di religione guadagnano infatti più dei colleghi delle materie obbligatorie. Erano già i precari della scuola più pagati d' Italia. Nel 1996 e nel 2000, con due circolari, i governi ulivisti avevano infatti deciso di applicare soltanto agli insegnanti di religione gli scatti biennali di stipendio (2,5 per cento) e di anzianità previsti per tutti i precari della scuola da due leggi, una del 1961 e l'altra del 1980. Il vantaggio è stato confermato e anzi consolidato con il passaggio di ruolo, a differenza ancora una volta di tutti gli altri colleghi.

L'inspiegabile privilegio ha spinto prima decine di precari e ora centinaia di insegnanti di ruolo di altre materie a promuovere cause legali di risarcimento. Nel caso, per nulla remoto, in cui le richieste fossero accolte dai tribunali del lavoro, lo Stato dovrebbe sborsare una cifra valutabile fra i due miliardi e mezzo e i tre miliardi di euro. A parte le questioni economiche e legali, chiunque ricordi che cos' era l'ora di religione ai suoi tempi e oggi chiunque trascorra una mattinata nella scuola dei figli non può evitare di porsi una domanda. Vale la pena di spendere un miliardo di euro all'anno, in tempi di tagli feroci all'istruzione, per mantenere questa ora di religione? Uno strano ibrido di animazione sociale e vaghi concetti etici destinati a rimanere nella testa degli studenti forse lo spazio d' un mattino. Pochi cenni sulla Bibbia, quasi mai letta, brevi e reticenti riassunti di storia della religione.

In Europa il tema dell'insegnamento religioso nelle scuole pubbliche è al centro di un vivace e colto dibattito, ben al di sopra delle vecchie risse fra clericali e anticlericali. Nello stato più laico del mondo, la Francia, il regista Regis Debray, amico del Che Guevara e consigliere di Mitterrand, a suo tempo ha rotto il monolitico fronte laicista sostenendo l'utilità d' inserire nei programmi scolastici lo studio della storia delle religioni. In Gran Bretagna la teoria del celebre biologo Roger Dawkins ("L'illusione di Dio"), ripresa dallo scienziato Nicholas Humprey, secondo il quale "l'insegnamento scolastico di fatti non oggettivi e non provabili, come per esempio che Dio ha creato il mondo in sei giorni, rappresenta una violazione dei diritti dell'infanzia, un vero abuso", ha suscitato un ricco dibattito pedagogico. Ma è un fatto, sostiene Dawkins, che "noi non esitiamo a definire un bambino cristiano o musulmano, quando è troppo piccolo per comprendere questi argomenti, mentre non diremmo mai di un bambino che è marxista o keynesiano, Con la religione si fa un'eccezione".

In Germania, Spagna, perfino nella cattolicissima Polonia di Karol Woytjla, il dibattito non si è limitato alle pagine dei giornali ma ha prodotto cambiamenti nelle leggi e nei programmi scolastici, come l'inserimento di altre religioni (Islam e ebraismo, per esempio) fra le scelte possibili o la trasformazione dell'ora di religione in storia delle religioni comparate, tendenze ormai generali nei sistemi continentali. In Italia ogni timido tentativo di discussione è stroncato sul nascere da una ferrea censura. L'ora di religione cattolica è un dogma. La sola ipotesi di affiancare all'ora di cattolicesimo altre religioni, come avviene in tutta Europa con le sole eccezioni di Irlanda e dell'ortodossa Cipro, procura un immediata patente di estremismo, anticlericalismo viscerale, lobbismo ebraico o addirittura simpatie per Al Quaeda. Quanto ad abolirla, come in Francia, è un'ipotesi che non sfiora neppure le menti laiche.

Gli unici ad avere il coraggio di proporlo sono stati, come spesso accade, alcuni intellettuali cattolici. Lo scrittore Vittorio Messori, per esempio: "Fosse per me cancellerei un vecchio relitto concordatario come l'attuale ora di religione. In una prospettiva cattolica la formazione religiosa può essere solo una catechesi e nelle scuole statali, che sono pagate da tutti, non si può e non si deve insegnare il catechismo. Lo facciano le parrocchie a spese dei fedeli~ Perciò ritiriamo i professori di religione dalle scuole pubbliche e assumiamoli nelle parrocchie tassandoci noi credenti".

Messori non manca di liquidare anche gli aiuti di Stato alle scuole cattoliche, negati per mezzo secolo dalla Democrazia Cristiana, inaugurati con la legge 62 del 10 marzo 2000 dal governo D' Alema con Berlinguer all'Istruzione, dilagati nel periodo Berlusconi-Moratti (con il trucco dei "bonus" agli studenti per aggirare la Costituzione) e mantenuti dall'attuale ministro Fioroni, con giuramento solenne davanti alla platea ciellina del meeting di Rimini. "Lo Stato si limiti a riconoscere che ogni scuola non statale in più consente risparmio di danaro pubblico e di conseguenza conceda sgravi fiscali. Niente di più".

Il cardinale Carlo Maria Martini, da arcivescovo di Milano, aveva dichiarato che l'ora di religione delle scuole italiane doveva ritenersi inutile o anche "offensiva", raccomandando di raddoppiarla e farne una materia seria di studio oppure lasciar perdere. La Cei ha sempre risposto che l'ora di religione è un successo, raccoglie il 92 per cento di adesioni, a riprova delle profonde radici del cattolicesimo in Italia. Ma se la Cei ha tanta fiducia nei fedeli non si capisce perché chieda (e ottenga dallo Stato) che l'ora di religione sia sempre inserita a metà mattinata e mai all'inizio o alla fine delle lezioni, come sarebbe ovvio per un insegnamento facoltativo. Perché chieda (e sempre ottenga) il non svolgimento nei fatti dell'ora alternativa. In molte materne ed elementari romane ai genitori è stato comunicato che i bambini di 5 o 6 anni non iscritti all'ora di religione "potevano rimanere nei corridoi". Prospettiva terrorizzante per qualsiasi madre o padre.

D' altra parte la sicurezza ostentata dai vescovi si scontra con l'allarme lanciato nella relazione della Cei dell'aprile scorso sul progressivo abbandono dell'ora di religione, con un tasso di rinuncia che parte dal 5,4 delle elementari e arriva al 15,4 per cento delle superiori (con punte del 50 non solo nelle regioni "rosse" come la Toscana o l'Emilia-Romagna ma anche in Lombardia e nelle grandi città), man mano che gli studenti crescono e possono decidere da soli. Alla fine nessun argomento ufficiale cancella il dubbio. L'ora di religione, così com' è, costituisce davvero un insegnamento del catechismo ("che in ogni caso ciascuno si può portare a casa con poche lire" ricordava don Milani) o non piuttosto un altro miliardo di obolo di Stato a san Pietro?
(Hanno collaborato Carlo Pontesilli e Maurizio Turco)

Chiesa, c'è un 8 per mille segreto. Ecco dove finisce un miliardo di euro.

Nove milioni per la campagna pubblicitaria sullo tsunami ma alle vittime va solo un terzo. E alla fine l' ottanta per cento dei contributi assegnati rimane alla Chiesa cattolica. La maggior parte dei finanziamenti ai vescovi viene dal fondo che raccoglie i soldi di chi non ha fatto nessuna scelta.

(Curzio Maltese - La Repubblica) Le campagne dell' "otto per mille" della Chiesa cattolica, che ogni primavera invadono l' etere, Rai, Mediaset e radio nazionali, sono considerate nel mondo pubblicitario un modello di comunicazione. Ben girate, splendida fotografia, musiche di Morricone, storie efficaci, a volte indimenticabili. Chi non ricorda quella del 2005, imperniata sulla tragedia dello tsunami? Lo spot apre su un fragile villaggio di capanne, dalla spiaggia i pescatori scalzi scrutano l' orizzonte cupo. Voce fuori campo: "Quel giorno dal mare è arrivata la fine, l' onda ha trasformato tutto in nulla". Stacco sul logo dell' otto per mille: "Poi dal niente, siete arrivati voi. Le vostre firme si sono trasformate in barche e reti". Zoom su barche e reti. "Barche e reti capaci di crescere figli e pescare sorrisi". Slogan: "Con l' otto per mille alla Chiesa cattolica, avete fatto tanto per molti". Un capolavoro. La campagna 2005, affidata come le precedenti alla multinazionale Saatchi & Saatchi, secondo Il Sole 24 Ore è costata alla Chiesa nove milioni di euro. Il triplo di quanto la Chiesa ha poi donato alle vittime dello tsunami, tre milioni (fonte Cei), lo 0,3 per cento della raccolta. Nello stesso anno, l'Ucei, l' unione delle comunità ebraiche italiane, versò per lo Sri Lanka e l' Indonesia 200 mila euro, il 6 per cento dell' "otto per mille". Un' offerta in proporzione venti volte superiore, in un' area dove non esistono comunità ebraiche.

Gli spot della Chiesa cattolica sono per la maggioranza degli italiani l'unica fonte d'informazione sull' otto per mille. Consegue una serie di pregiudizi assai diffusi. Credenti e non credenti sono convinti che la Chiesa cattolica usi i fondi dell' otto per mille soprattutto per la carità in Italia e nel terzo mondo. Le due voci occupano la totalità dei messaggi, ma costituiscono nella realtà il 20 per cento della spesa reale, come conferma Avvenire, che pubblica per la prima volta il resoconto sul numero del 29 settembre. L' 80 per cento del miliardo di euro rimane alla Chiesa cattolica.
anto meno gli spot cattolici si occupano d' informare che le quote non espresse nella dichiarazione dei redditi, il 60 per cento, vengono comunque assegnate sulla base del 40 per cento di quanto è stato espresso e finiscono dunque al 90 per cento nelle casse della Cei. Questo compito in effetti spetterebbe allo Stato italiano. Lo Stato avrebbe dovuto illustrare e giustificare ai cittadini un meccanismo tanto singolare di "voto fiscale", unico fra i paesi concordatari.

In Spagna per esempio le quote non espresse nel "cinque per mille" restano allo Stato. In Germania lo Stato si limita a organizzare la raccolta dei cittadini che possono scegliere di versare l' 8 o 9 per cento del reddito alla Chiesa cattolica o luterana o ad altri culti. Il principio dell' assoluta volontarietà è la regola nel resto d' Europa. Lo Stato italiano lo adotta infatti per il "cinque per mille". Anzi, fa di peggio. Il "cinque per mille" è nato nel 2006 per destinare appunto lo 0,5 dell' Irpef (660 milioni di euro, stima ufficiale delle Entrate) a ricerca e volontariato. Nel primo (e unico) anno hanno aderito il 61 per cento dei contribuenti, contro il 40 dell' "otto per mille": un successo enorme.

Le sole quote volontarie ammontano a oltre 400 milioni. Ma con la Finanziaria del 2007 il governo ha deciso di porre un tetto di 250 milioni al fondo, che si chiama sempre "cinque per mille" ma è ridotto nei fatti a meno del due. Le quote eccedenti verranno prelevate dall' erario. Con una mano lo Stato dunque regala 600 milioni di quote non espresse alla Cei e con l' altra sottrae 150 milioni di quote espresse a favore di onlus e ricerca. Nella stessa pagina del modulo 730 il "voto fiscale" espresso da un cittadino in alto a favore delle chiese vale in termini economici quattro volte il voto nel "cinque per mille". Perché due pesi e due misure? Lo Stato in diciassette anni non ha speso una parola pubblica, uno spot, una pubblicità Progresso, per spiegare il senso, il meccanismo e la destinazione reale dell' otto per mille. Ed è l' unico "concorrente" che ne avrebbe i mezzi, oltre al dovere morale. Gli altri (Valdesi, Ebrei, Luterani, Avventisti, Assemblee di Dio) dispongono di fondi minimi per la pubblicità, peraltro regolarmente denunciati nei resoconti. Mentre la Chiesa cattolica è l' unica a non dichiarare le spese pubblicitarie, riprova di scarsa trasparenza. L' unica voce a rompere il silenzio dello Stato fu nel 1996 quella di una cattolica, come spesso accade, la diessina Livia Turco, allora ministro per la Solidarietà. Turco propose di destinare la quota statale di otto per mille a progetti per l' infanzia povera. Il "cassiere" pontificio, monsignor Attilio Nicora, rispose che "lo Stato non doveva fare concorrenza scorretta alla Chiesa".

Fine del dibattito. Oggi Livia Turco ricorda: "Nella mia ingenuità, pensavo che la mia proposta incontrasse il favore di tutti, compresa la Chiesa. L' Italia è il paese continentale con la più alta percentuale di povertà infantile. Al contrario la reazione della Chiesa fu durissima, infastidita, e dalla politica fui subito isolata. Ho vissuto quella vicenda con grande amarezza". La politica non ha mai più osato fare "concorrenza" alla Chiesa cattolica, anzi l' ha favorita con un pessimo uso del fondo. Nel 2004 i media hanno dato grande risalto alla trovata del governo Berlusconi di utilizzare 80 dei 100 milioni ricevuti dall' otto per mille per finanziare le missioni militari, in particolare in Iraq. Degli altri venti milioni, quasi la metà (44,5 per cento) sono finiti nel restauro di edifici di culto, quindi ancora alla Chiesa. La percentuale di "voti" allo Stato italiano è crollata dal 23 per cento del 1990 all' 8,3 del 2006.

All' atteggiamento remissivo dello Stato italiano ha fatto da contraltare una crescente aggressività da parte delle gerarchie ecclesiastiche e soprattutto dei politici al seguito, cattolici e neo convertiti, nel rivendicare il denaro pubblico. In agosto, quando la commissione europea ha chiesto lumi al governo Prodi sui privilegi fiscali del Vaticano, nell' ipotesi si tratti di "aiuti di Stato" mascherati, l' ex ministro Roberto Calderoli, già protagonista delle battaglie anticlericali della Lega anni Novanta, ha chiesto al Papa di "scomunicare l' Unione Europea". Rocco Buttiglione ha avanzato un argomento in disuso fra gli intellettuali dai primi del '900, ma oggi di gran moda. Secondo il quale i privilegi concessi dalla Stato al Vaticano sarebbero "una compensazione per la confisca dei beni ecclesiastici dello Stato Pontificio". Un revanscismo già sepolto dalla Chiesa del Concilio. Nel 1970 Paolo VI aveva "festeggiato" con la visita in Campidoglio la breccia di Porta Pia: "atto della Provvidenza", una "liberazione" per la Chiesa da un potere temporale che ne ostacolava l' autentica missione. Joseph Ratzinger scrive ne "Il sale della terra": "Purtroppo nella storia è sempre capitato che la Chiesa non sia stata capace di allontanarsi da sola dai beni materiali, ma che questi le siano stati tolti da altri; e ciò, alla fine, è stata per lei la salvezza". La legge 222 del 1985 istitutiva dell' otto per mille, perlopiù sconosciuta ai polemisti, in ogni caso non accenna ad alcuna forma di "risarcimento" per le confische (argomento insensato nell' Italia di vent' anni fa).

Lo scopo primario della legge di revisione del Concordato fascista del '29 era di garantire un sostituto della "congrua", ovvero lo stipendio di Stato ai sacerdoti. Nei primi anni lo Stato s' impegnava infatti a integrare l' otto per mille, fino a 407 miliardi, nel caso di una raccolta insufficiente per pagare gli stipendi. In cambio il Vaticano accettava che una commissione bilaterale valutasse ogni tre anni l' ipotesi di ridurre l' otto per mille nel caso contrario di un gettito eccessivo. Ora, dal 1990 al 2007, l' incasso per la Cei è quintuplicato e la spesa per gli stipendi dei preti, complice la crisi di vocazioni, è scesa alla metà, dal 70 al 35 per cento. Eppure la commissione italo-vaticana non ha mai deciso un adeguamento. Perché? Senza avventurarsi in filosofia del diritto, si può forse raccontare il percorso di uno dei componenti laici della commissione, Carlo Cardia. Il professor Cardia, insigne giurista di formazione comunista, consigliere di Enrico Berlinguer e Pietro Ingrao, ha esordito da fiero "difensore del diritto negato in Italia all' ateismo" ("Ateismo e libertà religiose", De Donato, 1973).

Nel 2001 è Cardia a invocare una riduzione dell' otto per mille, in un saggio pubblicato dalla presidenza del consiglio: "Dall' otto per mille derivano ormai alla Chiesa cattolica, meglio: alla Cei, delle somme veramente ingenti, che hanno superato ogni previsione. Si parla ormai di 900-1000 miliardi l' anno di lire. Il livello è tanto più alto in quanto il fabbisogno per il sostentamento del clero non supera i 400-500 miliardi. Ciò vuol dire che la Cei ha la disponibilità annua di diverse centinaia per finalità chiaramente "secondarie" rispetto a quella primaria del sostentamento del clero; e che lievitando così il livello del flusso finanziario si potrebbe presto raggiungere il paradosso per il quale è proprio il sostentamento del clero ad assumere il ruolo di finalità secondaria". Previsione perfetta. "Tutto ciò - concludeva Cardia - porterebbe a vere e proprie distorsioni nell' uso del danaro da parte della Chiesa cattolica; e, più in generale, riaprirebbe il capitolo di un finanziamento pubblico irragionevole che potrebbe raggiungere la soglia dell' incostituzionalità se riferito al valore della laicità quale principio supremo dell' ordinamento". Nel tempo il professor Cardia è diventato illustre collaboratore di Avvenire, il giornale dei vescovi. I suoi temi sono cambiati: l' apologia del rapporto fra i giovani e Benedetto XVI, la lotta ai Dico, l' esaltazione del Family Day.

Ciascuno naturalmente ha il diritto di cambiare idea. Ma è opportuno che, avendole cambiate sul giornale della Cei, continui a far parte di una commissione governativa chiamata a stabilire quanti soldi lo Stato deve versare alla Cei? Nell' ultimo editoriale su Avvenire il professor Cardia tuona contro l' inchiesta di Repubblica, "una delle più colossali operazioni di disinformazione degli ultimi tempi". Senza contestare nel merito un singolo dato, nega con veemenza che la Chiesa costi troppo agli italiani e s' indigna per "l' indecente" accostamento con la "casta". E' lo stesso professor Cardia che il 20 febbraio scorso dichiara in un' intervista: "Io porterei la quota dell' otto per mille al sette, vista l' imponente massa di danaro che smuove. Basti pensare che dall' 84 a oggi nessuno, se non per controversie politiche, vi ha posto mano".

Con le altre confessioni lo Stato è assai meno generoso. In risposta a un' interrogazione dei soliti radicali, nel luglio scorso il ministro Vannino Chiti ha citato come prova della bontà del meccanismo "il fatto che anche i valdesi hanno chiesto e ottenuto le quote non espresse". Chiesto sì, ottenuto mai. Incontro la "moderatrice" della Tavola Valdese, Maria Bonafede, il "Ruini" dei valdesi, nella modesta sede vicino alla Stazione Termini. "Per motivi etici avevamo rinunciato alle quote non espresse, ma nel 2000, visto l' uso che ne faceva lo Stato, le abbiamo chiese. Abbiamo incontrato governi di destra e di sinistra, il vecchio Letta e il nuovo. Ogni volta ci rinviano. Se la ottenessimo oggi, la vedremmo solo nel 2010. Lo Stato anticipa i soldi alla Cei, ma agli altri li versa con tre anni di ritardo".

Ai valdesi sono andati nel 2006 circa 5 milioni 700 mila euro, ma avrebbero diritto a oltre 13 milioni. Il resto lo trattiene lo Stato. La Tavola Valdese usa i soldi dell' otto per mille al 94 per cento per la carità e il rimanente alla pubblicità. I pastori valdesi vivono delle donazioni spontanee. Lo stipendio base, uguale dalla "moderatrice" all' ultimo pastore, è di 650 euro al mese. Maria Bonafede spiega: "I soldi dell' otto per mille arrivano dalla società e vi debbono tornare. Se una Chiesa non riesce a mantenersi con le libere offerte, è segno che Dio non vuole farla sopravvivere".

(hanno collaborato Carlo Pontesilli e Maurizio Turco)

lunedì 22 ottobre 2007

Non è più tempo di una Chiesa monolitica.

di Robert Blair Kaiser.
Siete tutti consapevoli del fatto che la nostra Chiesa è in crisi, e che, a causa dei nostri attuali problemi, molti cattolici, giovani e anziani, stanno abbandonando la Chiesa. Secondo i demografi del nostro Paese, i cattolici rappresentano la prima confessione religiosa negli Stati Uniti. E la seconda qual è? Quella degli ex cattolici. Gary Wills, nel suo libro Papal Sins, ha argomentato che la Chiesa è un’istituzione corrotta, guidata da un’élite più occupata a salvare se stessa che a servire il popolo di Dio. Non stupisce che la gente abbandoni la Chiesa, in particolare i giovani, ancora più in particolare le giovani donne, le quali si rendono conto di essere state relegate ad una cittadinanza di terza classe. Nei circoli della Chiesa ufficiale, le donne non sono solo membri del laicato, ma membri difettosi del laicato, visto che non hanno il pene e quindi non possono essere "immagine di Cristo". Qualsiasi cosa ciò significhi. Wills ha pubblicato il suo libro nel giugno del 2000. Da allora, le cose non hanno fatto che peggiorare. Nel gennaio 2002, gli scandali sessuali hanno cominciato a guadagnare le prime pagine del New York Times. Grazie all’attenzione della stampa, si sa molto sugli scandali sessuali, sui miseri preti che per decenni hanno abusato di ragazzini e ragazzine. Forse non siete ancora a conoscenza degli scandali finanziari che sono destinati ad eclissare quelli sessuali. A Milwaukee, nel Wisconsin, un arcivescovo può cercare di mettere a tacere il suo amante gay ricattatore firmandogli un assegno da 450.000 dollari. Un monsignore in Florida torna a casa, a Del Rey Beach in Florida, da una lunga vacanza in Irlanda per affrontare l’accusa di essersi appropriato indebitamente di più di 7 milioni di dollari della sua parrocchia, nel corso di vent’anni. A Montecito, in California, una commissione finanziaria parrocchiale scopre che il proprio pastore ha rubato più di un milione di dollari. Quando ne viene informato il vescovo, lui silura la commissione finanziaria. Un ulteriore segno di crisi: i nostri vescovi, che hanno coperto e continuano a coprire gli scandali sessuali e quelli finanziari, non capiscono il concetto di responsabilità, almeno non nei confronti delle persone che sono chiamati a servire. È piuttosto interessante che tale mancanza di responsabilità nella nostra Chiesa ci offra un’opportunità di correggere il nostro percorso. Sono qui a dire che coloro che sono indignati per questa Chiesa statunitense corrotta e in disgregazione non devono abbandonarla. Intendo dimostrare come possiamo creare una Chiesa del nostro popolo negli Stati Uniti, pur continuando ad essere buoni cattolici. In che modo? Non cambiando le cose in cui crediamo, ma esigendo cambiamenti nel modo in cui ci governiamo. La Chiesa non è sempre stata governata nel modo in cui lo è oggi, da un capo assoluto che governa in modo assolutista, eletto in una votazione segreta da 115 cardinali carichi di anni in un conclave. Per i primi sei secoli, è stato il popolo di Roma a eleggere i suoi vescovi, alla fine chiamati "papi". Non abbiamo avuto un Mosè cattolico che ha portato giù dal Monte Sinai le tavolette di granito del diritto canonico. Sono stati gli uomini a inventare il diritto canonico nel XII e XIII secolo. Gli uomini (e spero le donne) possono reinventare altre forme di governo più adeguate al nostro tempo e al nostro luogo. Non ho progettato questo piano tutto da solo. Sono stato supportato da molti storici e teologi cattolici (la maggior parte a Roma) che temono di dire in pubblico ciò che in via confidenziale sostengono in privato: che la Chiesa cattolica statunitense può correggere il tipo di potere assoluto esercitato in modo assolutista da uomini di Chiesa che non comprendono il concetto prettamente americano di responsabilità. Nella lingua italiana, non c’è una parola equivalente a "accountability" (un termine che unisce il concetto di responsabilità e quello del dover rendere conto a qualcuno di qualcosa, ndt). È una delle ragioni per cui gli uomini di Roma (non le donne) continuano a cercare di governare la Chiesa dall’alto in basso, anche se vivono in una sorta di mondo che va dal basso verso l’alto. Pongo questa domanda: i cattolici degli Stati Uniti devono vivere per sempre in questa sorta di Chiesa monolitica? Nel mio ultimo libro, A Church in Search of Itself ("Una Chiesa in cerca di se stessa", ndt), parlo della mia intuizione originaria sul fatto che la Chiesa non è un monolite. Dopo due viaggi intorno al mondo, in cui ho osservato le Chiese locali dei cinque continenti, ho trovato una Chiesa unita in un’unica fede, ma caratterizzata da forme molto diverse a seconda dei diversi Paesi, e in teoria almeno i burocrati del papa dovrebbero essere soddisfatti di questa situazione. Mi piace dirlo, perché, dai tempi e a causa del Concilio, la Chiesa è più cattolica, meno romana. E, se crediamo alle parole di Gesù agli apostoli sull’autorità, la Chiesa non ha mai voluto essere un monolite. Meno che mai una monarchia, che è un incidente della storia. Non penso che la monarchia fosse ciò che Gesù aveva in mente quando disse agli apostoli che dava loro un nuovo tipo di autorità, un’autorità di servizio, non di dominio. Nel capitolo 22 di Luca (e in altri punti dei vangeli sinottici) Gesù dice: "il più grande tra di voi sia come il più piccolo". Certo, gli apostoli non l’hanno capito subito. Hanno continuato a discutere su chi fosse "il primo". Ma se analizziamo il discorso di Gesù, possiamo concludere che la sua Chiesa avrebbe dovuto essere una Chiesa in ascolto e al servizio, una Chiesa i cui pastori avrebbero dovuto essere in costante dialogo con il loro popolo, in modo da poterlo servire meglio. Gesù, che probabilmente osservava da vicino pastori e pecore sulle erbose coline della sua nativa Galilea, ha gettato luce sul tipo di comunicazione che avrebbe dovuto esserci tra un vescovo e il suo popolo. Il suo Buon Pastore avrebbe dovuto dire: "Io conosco le mie pecore, e loro conoscono me". Quanta gente in questa sala conosce il proprio vescovo? Quanti vescovi in ogni città americana conoscono il loro popolo? Il mio vescovo di Phoenix, in Arizona, si sottrae al suo popolo di persone e anche al suo popolo di preti. Ho partecipato ad un pranzo per una raccolta di fondi a Phoenix per le Catholic Charities. Circa 700 tra le persone che contano a Phoenix erano presenti. Il vescovo non si è fatto vedere. Conosco un monsignore che di recente è stato mandato a rilevare una parrocchia in crisi in una periferia di Phoenix. Per sei mesi, non è riuscito a parlare al telefono con il vescovo. Né il vescovo lo ha chiamato. "Io conosco le mie pecore e loro conoscono me?". A quanto sembra, non certo a Phoenix. Né in molte città americane, dove è molto più facile essere ricevuti dal sindaco. La diversità, cuore della cattolicità A Baltimora, l’autunno scorso, i vescovi americani si sono incontrati solennemente in assemblea e hanno ulteriormente dimostrato quanto siano sordi di fronte alle questioni che preoccupano la maggior parte dei cattolici. Hanno parlato di controllo delle nascite e di matrimonio omosessuale, e hanno detto che coloro che praticano il controllo delle nascite (secondo le stime, circa il 96% delle coppie cattoliche Usa) e coloro che hanno "un’inclinazione omosessuale" non dovrebbero fare la comunione. Speravano forse che, minacciandoci, non notassimo ciò che hanno fatto e continuano a fare alla nostra Chiesa? Sono qui per dire che invece l’abbiamo notato. E che sempre più voci si stanno unendo per chiedere una Chiesa statunitense, una Chiesa responsabile e in ascolto in America. Esse ci dicono che la nostra Chiesa non è abbastanza statunitense. Che è troppo romana e non abbastanza cattolica, e per "cattolica" intendo universale. La Chiesa non è un monolite. È diversa, in diverse parti del mondo. Lo è sempre stata e penso che sempre lo sarà, nonostante sottolineiamo la nostra unità nella fede, accanto alla nostra diversità culturale. Ho iniziato a rendermi conto della diversità della Chiesa quando la rivista Time mi ha mandato a coprire il Vaticano II nell’autunno del 1962. Durante la prima sessione del Concilio, ogni giorno ero in piazza san Pietro, dopo le 12, con i miei colleghi della Stampa Vaticana, in attesa che i 2.200 Padri conciliari uscissero dalla sessione mattutina, in modo tale da poter parlare con i vescovi e i teologi che erano al Concilio mentre noi eravamo fuori ad aspettare. Guardavamo queste vere e proprie Nazioni Unite della Chiesa scendere i gradini di San Pietro, in una sorta di cascata color porpora. E com’erano diversi tra loro! Visi neri e olivastri e visi orientali, con la barba, e rubicondi visi irlandesi. Per la prima volta, avevamo la vivida prova dell’uni-versalità della Chiesa, che è la sua cattolicità. Una prova più chiara ancora del diverso modo di essere della Chiesa veniva dalle liturgie conciliari che ogni giorno avviavano i lavori. Non solo la messa romana in latino, ma le messe celebrate di volta in volta secondo il rito melkita, bizantino e copto. Questi riti rappresentavano una parte della Chiesa poco conosciuta (almeno a noi occidentali): le altre 20 Chiese autoctone antiche e moderne (alcune delle quali, come quella caldea, più antiche di quella cattolica di rito romano), per lo più del Medio Oriente, con il loro governo, i loro patriarchi, le loro liturgie nelle loro lingue, il loro clero, sposato o non sposato. Ma tutte Chiese cattoliche bona fide. Il Concilio stesso ha ripudiato la posizione di Leone XIII che condannava, nel 1899, ciò che lui chiamava Americanismo, l’idea, cioè, che i cattolici americani potessero introdurre la democrazia nelle strutture della Chiesa negli Stati Uniti ed essere diversi dalla Chiesa che egli conosceva a Roma! La lettera di Leone (la chiamò "Pegno di Nostra benevolenza") gettò la gerarchia Usa in uno stato catatonico: i vescovi si ritirarono in una deferenza codarda nei confronti di Roma, permettendole di esercitare un crescente centralismo e (aggiungerei) di imporre un conformismo che non era coerente con la libertà dal dominio della Chiesa che Cristo predicò durante la sua vita pubblica. Tom Doyle l’ha detto efficacemente al congresso nazionale dell’organizzazione Call to Action a Milwaukee. I capi dei malvagi nel racconto evangelico erano l’antico equivalente dei cardinali della Chiesa di oggi, gli scribi e i farisei che spadroneggiavano sul popolo e lo soffocavano con una rete di leggi disumane e di regole che si supponeva venissero "da Dio". A Gesù questo non piaceva. Infatti, ha detto Doyle, "L’unica volta in cui Gesù è davvero diventato matto è stata quando è andato in chiesa". Al Vaticano II, i Padri conciliari scrissero un documento per un nuovo tipo di Chiesa del popolo, che cercava di rovesciare la vecchia struttura piramidale. Nel progetto chiamato De ecclesia (quello che diventò poi uno dei documenti chiave del Concilio, Lumen gentium) ridefinirono la Chiesa come Popolo di Dio. Il papa e i vescovi, che occupavano un posto preminente nel capitolo uno, furono spostati al capitolo tre, e fu dato loro un nuovo mandato: non di dominare, ma di servire il popolo di Dio. In una serie di altri documenti, venne sottolineato e risottolineato il fatto che questa avrebbe dovuto essere una Chiesa del popolo. Non ho tempo di addentrarmi in ognuno di questi documenti, posso solo citare la decisione del Concilio di restituire la messa al popolo, passando dalla lingua dell’élite alle lingue vernacolari. I Padri ne discussero per un mese. L’Ufficio stampa vaticano ci riferì di un sostanziale equilibrio tra favorevoli e contrari. Immaginate la nostra sorpresa quando i Padri approvarono la messa nelle lingue vernacolari con una proporzione di 2.000 contro 200! Caspita! Votando a favore della messa nelle varie lingue dell’intero pianeta, rendevano la Chiesa meno romana, più cattolica. I Padri piantarono i semi di un ulteriore cambiamento creativo quando elaborarono il fondamento teorico per una Chiesa inculturata, rivisitando 400 anni di imperialismo romano, correggendo la storia della Chiesa e riscrivendo la sua teologia. Richiamarono alla memoria il XV secolo, quando i missionari europei arrivarono in Africa e in Asia, imponendo la loro cultura e la loro lingua sui cosiddetti selvaggi senza Dio. Sostenuti dai soldati coloniali, e basandosi sulla legge coloniale, insegnarono devozioni coloniali e una teologia coloniale in chiese coloniali costruite nello stile architettonico di Lisbona, Parigi e Roma. Ne abbiamo abbastanza, dissero coloro che redigevano il documento per il Vaticano II. Cristo doveva avere un volto africano in Africa e asiatico in Asia. Gesù non aveva bisogno di un passaporto. Dai tempi del Vaticano II, le autorità di Roma hanno cautamente avallato l’inculturazione, soprattutto in Congo. Lì, il clero congolese locale e il suo popolo hanno dato vita ad una liturgia congolese locale, con percussioni e danze e messe in ognuno dei numerosi dialetti congolesi. I cattolici statunitensi possono capire perché gli africani abbiano bisogno di una Chiesa che sia in sintonia con il modo in cui gli africani pensano e sentono. Ma pochi hanno pensato a costruire una Chiesa negli Stati Uniti coerente con il modo in cui la maggior parte degli americani pensa e sente. Alcuni hanno cercato di farlo all’inizio della storia degli Stati Uniti. Il primo vescovo americano, John Carroll, fu eletto da un voto popolare dei preti della nazione nel 1789. E negli anni Venti del XIX secolo il vescovo di Savannah, in Georgia, John England, scrisse una costituzione per la sua diocesi che dava al suo popolo voce e diritto di voto. In seguito, purtroppo, Roma insistette sul diritto di nominare i vescovi di questo Paese, spesso stranieri scelti per la loro fedeltà a Roma e non per la loro volontà di servire il popolo, lo stile locale, e quei vescovi stabilirono un modello per la Chiesa Usa che ha resistito fino ad oggi. Molti vescovi agiscono come se lavorassero per il papa, e molti preti agiscono come se lavorassero per i vescovi, e il popolo-popolo è lasciato a pregare, pagare e tacere. Che cosa possiamo fare? Nulla, dicono alcuni, considerando la stretta mortale di Roma sull’America da 200 anni a questa parte e l’abituale, quasi automatico sospetto da parte del Vaticano stesso verso qualsiasi tipo di cambiamento. Altri sostengono che potremmo ribellarci, seguendo l’esempio dei Padri fondatori americani. Ma noi sosteniamo che non è necessario andare verso uno scisma formale o di fatto. Dobbiamo semplicemente convincere i vescovi (mai sottovalutare il potere dell’opinione pubblica…) ad inculturare il Vangelo negli Usa, creando una Chiesa americana autoctona moderna, sul modello dei maroniti, dei melchiti, dei bizantini, dei copti e di altre sedici Chiese autoctone del Medio Oriente. "Autoctono" è un parolone greco che esprime un concetto più semplice di quanto sembri. "Autoctono" non significa "autonomo". Significa cresciuto in casa, tessuto in casa, fatto in casa. Significa "vero". La Chiesa degli Stati Uniti può diventare una Chiesa moderna e autoctona? Non è impensabile. Nel 1925, il cardinale belga Mercier, un pioniere, propose che la Comunione anglicana tornasse unita a Roma come Chiesa autoctona, con il suo clero sposato e la sua liturgia inglese. Mercier era avanti sui tempi. Ora, poco più di 70 anni dopo, si parla più spesso di autoctonia. I vescovi indonesiani hanno rivendicato una Chiesa autoctona in Indonesia al Sinodo per l’Asia di Roma nel 1998, in base al principio che Roma non aveva "né la conoscenza né la competenza" per prendere decisioni pastorali in Indonesia. Nel 2001, ad un altro sinodo a Roma, i vescovi indonesiani hanno chiesto un nuovo concilio ecumenico che potesse lanciare la radicale decentralizzazione insita nel concetto di autoctonia. "Solo allora – hanno detto – potremmo essere liberi di proclamare il Vangelo". Poco dopo il Vaticano II, un teologo di nome Joseph Ratzinger suggerì che il futuro della Chiesa, in particolare nelle terre di missione, potesse trovarsi nell’autoctonia. Giovanni Paolo II disse una volta che anche lui avrebbe considerato l’ipotesi di approvare nuove Chiese autoctone nelle terre di missione. Forse pensava alla Cina, dove voleva così fortemente che la Chiesa cattolica fosse riconosciuta, da essere pronto a pagare il prezzo di Pechino, il diritto di nominare nuovi vescovi. Se Benedetto XVI lo farà, darà alla Chiesa in Cina un provvedimento di autoctonia. Potrebbe anche approvare l’autoctonia negli Stati Uniti, se solo comprendesse che sarebbe un modo (l’unico) per rendere la Chiesa americana di nuovo credibile e contrastare così la straordinaria emorragia di giovani, in particolare di giovani donne, da una Chiesa che si trova bloccata, per esempio, in una teoria del ministero che impedisce a metà dei suoi membri l’accesso al sacerdozio in un’epoca in cui vi è una drammatica carenza di preti. Senza chiedere permesso Oso dire, tuttavia, che non dobbiamo aspettare l’appro-vazione del Vaticano per procedere nell’autoctonia. Secondo me, i vescovi indonesiani hanno fatto un errore fatale nel chiedere il permesso di creare una Chiesa autoctona. Avrebbero dovuto "farlo e basta". La Chiesa di Roma avrebbe forse dichiarato la Chiesa indonesiana scismatica solo perché aveva bisogno di creare una Chiesa cattolica indonesiana in Indonesia? Nell’arcipelago indonesiano, uno dei Paesi più grandi del mondo? Ne dubito. Qualche volta, come ho imparato quando ero novizio nella Compagnia di Gesù, è meglio chiedere il perdono che il permesso. Allora, come possiamo creare una Chiesa cattolica Usa? Il diritto canonico prevede un processo per la ristrutturazione, da parte dei cattolici, del loro governo in ogni nazione. Si chiama Sinodo regionale o nazionale. La Chiesa americana ne ha avuti tre nel XIX secolo, il primo, secondo e terzo Concilio di Baltimora, in cui i delegati, tutti vescovi, non laici, stabilirono norme per i cattolici americani. Il diritto canonico aggiornato ora afferma, tuttavia, che un Sinodo nazionale può comprendere non-vescovi fino al 50% dei delegati. Se questi delegati fossero eletti dai cattolici in ogni Stato e rivendicassero un ruolo attivo, il Sinodo potrebbe assumere il carattere di una assemblea costituzionale, e i delegati potrebbero redigere una carta per la Chiesa del popolo. I delegati sicuramente discuterebbero sui singoli aspetti della carta, come fecero i Padri fondatori di questo Paese nell’Assemblea costituente del 1787. Ci vollero tre interi mesi di discussioni roventi per scrivere la Costituzione degli Stati Uniti. E anche così non fu perfetta. Dovettero tornarci sopra e scrivere dieci emendamenti, che noi oggi chiamiamo Carta dei Diritti. E nemmeno allora tutto filò liscio. I Padri fondatori non affrontarono con giustizia la questione della schiavitù, e questo determinò una febbre razzista che non abbiamo ancora eliminato. Se i delegati di un quarto Concilio di Baltimora volessero guidare una Chiesa del e per il popolo, potrebbero seguire il modello costituzionale americano, con un ramo esecutivo, uno legislativo e uno giudiziario. Potrebbero convocare l’elezione popolare di due organi parlamentari: un Senato dei vescovi e una Camera dei comuni, un presidente (o un consiglio esecutivo) eletto, e un giudiziario nominato con il consiglio e il consenso di entrambi gli organi. Radicale? Sì, radicale viene dalla parola latina radix, radice. Tale cambiamento nel modo di governarci (non un cambiamento in ciò in cui crediamo) va alla radice dei nostri problemi. Rivoluzionario? Sì, anche rivoluzionario. Siamo americani fieri del fatto che il nostro Paese abbia avuto inizio con una rivoluzione. Ma che cosa può spingere i vescovi (e il papa) ad aprire le porte ad una rivoluzione radicale nella Chiesa statunitemse come questa? Noi. Noi, il popolo, possiamo farlo, se e quando raggiungeremo un punto critico, una massa critica di opinione pubblica. Se è abbastanza massiccia, l’opinione pubblica può far cadere i governi dalla sera alla mattina. E non c’è bisogno che sia massiccia fino a questo punto. Gli esperti in dinamiche di gruppo affermano che già il 5% della popolazione è sufficiente a creare una pressione pubblica in grado di smuovere anche i governi dittatoriali. È stata forse l’intera popolazione di Manila (otto milioni circa di persone) a marciare contro il presidente Ferdinando Marcos obbligandolo a fuggire dalle Filippine nel 1983? No. Appena il 5% di essa, 400.000 persone, ha marciato in Avenida Epifanio de los Santos, una grande arteria nell’area metropolitana di Manila, mentre i militari di Marcos stavano da parte, senza sparare nemmeno un colpo. Abbiamo con modestia dichiarato, qui, che i cattolici degli Stati Uniti hanno il potere di dare vita a una rivoluzione radicale nella Chiesa americana. Ciò di cui abbiamo più bisogno è comprendere che non siamo soli. Prima che inizi la rivoluzione, dobbiamo sapere chi siamo, quanti siamo, e dove vogliamo andare. Ecco perché dovete visitare il sito www.takebackourchurch.org e firmare a favore della rivoluzione. Se riprenderci la nostra Chiesa è una buona idea, se cioè, è ispirata dallo Spirito Santo, ce lo farà sapere. Se non lo è, cadrà nel vuoto. Ma dobbiamo fare la nostra parte. Nel 1978 Giovanni Paolo II si recò a Varsavia, in Polonia, e disse a milioni di polacchi "Potete riprendervi il vostro Paese se lo chiedete!". Noi stiamo dicendo la stessa cosa. "Possiamo riprenderci la nostra Chiesa, se lo chiediamo". È tempo di impadronirci della cittadinanza nella nostra Chiesa con una voce ed un voto. Queste parole potrebbero spaventare alcuni cattolici americani. Se è così, bene. È tempo, nella nostra Chiesa in frantumi, di spaventarsi seriamente, e questo sentimento ci scuoterà spingendoci ad agire come fecero i nostri Padri fondatori quando scrissero la Dichiarazione di indipendenza, e decisero di combattere con moschetto e palla di cannone. Noi, però, non stiamo parlando di una rivoluzione violenta. Non scriveremo nemmeno una Dichiarazione di Indipendenza. Scriveremo una Dichiarazione di Autoctonia, che lancerà la sfida al nostro popolo-clero e al nostro popolo-popolo affinché elabori una costituzione per la Chiesa americana che accantoni con cautela i legalismi codificati nel diritto canonico, romanizzati, caratterizzati dal segreto, limitati, culturalmente condizionati, per tornare a un tipo di Chiesa di servizio, prefigurata al Vaticano II. Non vogliamo uno scisma né stiamo lanciando una sfida alla fede che abbiamo o alla fede che esprimiamo a Messa nel Credo niceno. Non stiamo nemmeno promuovendo il rovesciamento dei nostri vescovi. Vorremmo amare i nostri vescovi, perché è proprio la loro presenza a dirci che siamo parte di una tradizione che risale agli uomini che per primi seguirono Gesù, gli apostoli. Vogliamo soltanto che siano ciò che Gesù voleva che fossero: vescovi servi, non vescovi signori, in un mondo che ha bisogno del messaggio salvifico del Vangelo ora, oggi, più che mai. (da www.adista.it)
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Robert Blair Kaiser (nato nel 1930) è uno scrittore e giornalista, meglio conosciuto per la sua scrittura sulla Chiesa cattolica. As a correspondent for Time Magazine , he won the Overseas Press Club’s Ed Cunningham Award in 1962 for the "best magazine reporting from abroad" for his reporting on the Second Vatican Council [1] Come corrispondente di Time Magazine ha vinto la Overseas Press Club’s Ed Cunningham Award nel 1962 per il "miglior rivista segnalazione dall’estero" per la sua segnalazione sul Concilio Vaticano II. Egli è il redattore capo della linea ufficiale, Just Good Company.