mercoledì 10 ottobre 2007

Ratzinger avalla la prima svolta culturale.

Nuovi poteri al ministero dell'educazione.

(Paolo Rodari - Il Riformista) È una vera e propria riforma culturale quella che Benedetto XVI intende iniziare (l’annuncio pare venga dato oggi o al più tardi domani) con la nomina del nuovo segretario della congregazione per l’educazione cattolica - dalla Spagna arriva l’attuale segretario generale della conferenza episcopale del paese, ovvero monsignor Antonio Martinez Camino - e con un cambio di competenze tra questa congregazione e quella per il clero.
Una riforma culturale perché è dalla congregazione per l’educazione cattolica (più che da altre congregazioni o pontifici consigli) che il Pontefice vuole dettare, da qui in futuro, le linee a cui dovranno attenersi nel loro insegnamento innanzitutto le innumerevoli università ecclesiastiche dotate del tanto prestigioso imprimatur Vaticano (alias, le chiavi di Pietro).
La prima mossa è dunque la nomina di Antonio Martinez Camino - con il pensionamento del cardinale Juliàn Herranz c’era necessità di chiamare uno spagnolo in curia e lo si è scelto tra quelli della scuola dei ratzingeriani Antonio Cañizares Llovera (Toledo) e Antonio María Rouco Varela (Madrid) - a cui, nel giro di un paio di anni, dovrebbe seguire quella del nuovo prefetto della stessa congregazione (oggi il posto è occupato dal cardinale Zenon Grocholewski).
A Martinez Camino, e al futuro prefetto, verrà affidata la svolta culturale che nelle idee del Pontefice deve essere diretta innanzitutto all’interno della Chiesa prima che fuori.
Prima, insomma, occorre lavare i panni sporchi dentro la propria casa. O meglio, occorre intervenire su un aspetto fondante la vita della Chiesa quale è l’insegnamento che essa diffonde nelle sue facoltà e scuole.
E, in effetti, proprio a guardare le facoltà pontificie, gli istituti religiosi e le scuole cattoliche, si notano alcune crepe. Da una parte, lo smisurato incremento di facoltà teologiche e istituti religiosi ha portato all’effettiva impossibilità di controllare la qualità dei docenti chiamati a insegnarvi. Dall’altra, anche a causa di questa poca qualità, ecco lo scardinamento, nell’insegnamento filosofico, della metafisica e il conseguente dilagare (con le dovute eccezione e certamente non dappertutto) del relativismo e del soggettivismo. Una situazione che porta parte dell’insegnamento teologico in uno stato di sofferenza perché mancando un impianto filosofico adeguato, anche la stessa dottrina teologica tende a relativizzarsi.
Gli esempi potrebbero sprecarsi. Capita, tanto per citare alcuni casi, che coloro che fanno richiesta di eseguire una tesi teologica di critica, ad esempio, a Karl Rahner e alla sua “svolta antropologica”, vengano bollati come integralisti e la medesima cosa accade a quei poveretti che si azzardano a proporre una difesa dell’esegesi dei testi di liturgia del Vaticano II in chiave di rinnovamento nella continuità.
Quanto al cambio di competenze tra educazione cattolica e clero occorre dire come, fin dai tempi del concilio di Trento, la cura della pratica catechetica è stata appannaggio della congregazione per il clero (allora si chiamava Congregatio Cardinalium Concilii Tridentini interpretum). Ora, pare logico che questa competenza passi nelle mani di chi dal “ministero” dell’educazione cattolica detta le linee d’insegnamento della dottrina, mentre l’occhio sui seminari (dove studiano coloro che sacerdoti ancora non sono ma candidati ad esserlo sì) e dunque sulla formazione umana, intellettuale, spirituale e pastorale dei futuri sacerdoti divenga appannaggio del “ministero” del clero.

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